Il 9 marzo le immagini del grande esodo che da nord verso sud mosse migliaia di persone cambiarono la percezione delle cose facendo presagire le misure attuali. Contemporaneamente, ancora nell’inconsapevolezza generale, una moltitudine di persone inondava strade o locali con le strade della movida napoletana che pullulava dei suoi suoni. Un altro mondo.
Eppure, in questa nuova realtà di coesione nazionale, una domanda mi gira in testa: cosa sarebbe successo se il focolaio del coronavirus fosse stato al sud?
Non mi riferisco alla tenuta del sistema sanitario, perché li sarebbe collassato in pochissimo tempo, ma a livello della tenuta comunitaria nazionale. E questo pensiero mi è iniziato a circolare dopo le parole di Barbara Palombelli che “volendo trovare una ragione” della maggiore diffusione al nord ha snocciolato la solita retorica del sud fannullone.
Non so darmi una risposta, o per meglio dire, non voglio, almeno in questo momento. La paura di un ulteriore stigma su questo territorio mi spinge a non pensarci.
È paradossale come la realtà così drammatica dei numeri mi porti quasi a sperare mi porti a sperare di non avere mai una risposta reale a questa domanda, perché significherebbe che tutto ancora si regge, continuando così a crogiolarmi in un ideale di unità nazionale. Ormai viviamo in questo periodo ci aggrappiamo alle illusioni oltre che speranza.