I vescovi del Sud sono fortemente preoccupati del disegno di legge “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni”. Vorrei premettere alcune considerazioni.
✓ È vero che è la Costituzione a prevedere la possibilità di un’autonomia
differenziata. Ma è anche vero che la “mens” della Carta costituzionale è
l’unità del Paese, che è costata lacrime e sangue; per cui, prima di mettere
mano al progetto di “autonomia differenziata”, occorreva elaborare dei
“principi-base” su come coniugare unità del Paese e autonomia delle Regioni.
Comunque, è la Costituzione a preveder la possibilità di un’autonomia
differenziata. Tuttavia, se dare attuazione alla Costituzione è corretto, il
decreto, così com’è, si espone a diverse criticità: quella maggiore autonomia
che pure la Costituzione consente (potenzialmente ben 23 materie!) finisce
per essere un’altra cosa.
In particolare, si palesano i rischi di una frammentazione eccessiva
nell’erogazione dei diritti fondamentali per tutti i cittadini del Paese.
Esporrebbe l’Italia ad una frammentazione pericolosa, non solo nelle regioni
più deboli, quelle meridionali, ma in tutte le regioni, esposte ad una
frammentazione amministrativa che indebolirà l’Italia in Europa.
L’autonomia differenziata, così come proposta dal progetto Calderoli, “non
ci farà più autonomi ma più soli” (manifesto degli intellettuali). Sarebbe un
paradosso: mentre oggi noi discutiamo di problemi continentali ed europei
questa legge ci dividerebbe in tante piccole realtà che indeboliscono il Paese.
✓ Il punto di partenza dovrebbe essere il divario esistente tra il Nord e il Sud del
Paese, le disuguaglianze ancora in atto, soprattutto nell’ambito della sanità
(sembra che i cittadini del Mezzogiorno abbiano l’aspettativa di tre anni in
meno di vita rispetto a quelli del Nord); si veda il Report della Svimez (“Un
Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”) e, inoltre, lo studio
appena pubblicato sull’andamento della mortalità infantile.
Proprio in riferimento alle disuguaglianze nello sviluppo tra Nord e Sud, i
vescovi parlano di uno sviluppo “incompiuto, distorto, dipendente e
frammentato”. Tale divario, dal dopoguerra ad oggi, è rimasto sostanzialmente
invariato, pur registrando una lieve diminuzione. La fotografia che ogni anno
ci restituisce l’ISTAT è quella di un Paese sempre più a due velocità, con un
Sud che ha un Pil che è quasi la metà di quello delle Regioni del Nord.
✓ La cosiddetta “autonomia differenziata” potrebbe provocare conseguenze
negative sull’intero Paese; non si tratta, infatti, di decentramento, bensì di una
sostanziale “secessione dei ricchi”, secondo la ricerca del bravo Gianfranco
Viesti. Non è, infatti, un caso, che l’iniziativa sia stata presa dalle Regioni più
ricche del Paese. La parola “secessione” è usata per richiamare una separazione che, seppure
non di diritto, sarebbe nei fatti. Le Regioni dotate di maggiori autonomie si
configurerebbero, infatti, come delle Regioni-Stato, seppure formalmente
ancora dentro la cornice nazionale. Esse godrebbero di poteri estesissimi in
materie fondamentali, dalla scuola alla sanità e in molti altri ambiti.
Avrebbero fine la scuola pubblica italiana, il Servizio Sanitario Nazionale (il
cui smantellamento è già in atto), ecc. Il tutto in un quadro di estrema
confusione, dato che le competenze richieste dalle Regioni sarebbero
comunque differenziate tra loro. In uno Stato unitario ai cittadini vanno
assicurati uguali opportunità di accesso, a prescindere dal luogo di residenza
e dal grado di sviluppo produttivo locale. Si aggiunga un ulteriore pericolo:
l’autonomia differenziata, secondo quanto affermato da Salvini, non è un punto
di arrivo ma di partenza. Cosa lascia intendere Salvini con queste parole?
Potrebbe intendere che la riforma avrebbe due tempi: si pensa ad una sorta
di macroregione del Nord?
✓ È legittimo il sospetto che sia in atto una sorta di “scambio politico” tra
“autonomia differenziata” e “premierato”. Ed è molto strano che un Governo,
che fa un gran parlare di patria o nazione, contraddica la sua estrazione
culturale e politica, da sempre centralista, in cambio del “premierato”
(secondo una vulgata di palazzo).
✓ La battaglia sull’autonomia differenziata non è uno scontro tra Governo e
Regione Campania; cavalcare la polemica di questi giorni significa solo voler
spostare l’attenzione dal vero problema. Condivido la riflessione di Ciro
Buonajuto, sindaco di Ercolano e vicepresidente nazionale dell’ANCI, il quale
in una nota afferma: “L’autonomia differenziata non ci spaventa ma metteteci nelle
condizioni di partire dalla stessa linea di partenza delle regioni del Nord”.
Eppure, nella nostra storia, da Cavour a Sturzo, da Gramsci a De Gasperi, da
Salvemini a Moro, non vi è stata classe politica degna di dirsi tale che non abbia
posto la questione meridionale in cima al proprio programma politico.
Rinunciare a colmare il divario Sud-Nord segnala il declino delle leadership
italiane; di fatto la questione meridionale, con questo progetto di legge,
sarebbe, sì, definitivamente risolta, ma “per eutanasia”.
Il federalismo solidale. Nel 2010 i vescovi italiani pubblicarono il documento “Per un Paese solidale. Chiesa
italiana e Mezzogiorno”. Partendo dal principio che “il Paese non crescerà se non
insieme”, i vescovi propongono un “federalismo solidale”. “Il principio di sussidiarietà
va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa,
perché la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale e la
solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo”. La prospettiva di
riarticolare l’assetto del Paese in senso federale costituirebbe una sconfitta per
tutti, se il federalismo accentuasse la distanza tra le diverse parti d’Italia. La cd
“secessione dei ricchi” non è solo in contraddizione con la nostra Costituzione, in
particolare con il principio di uguaglianza sostanziale espresso nell’art. 3, ma è in
evidente contrasto con il sentimento di appartenenza ad un’unica comunità, ad
un’unica storia.
Conclusione
Quando si tocca la Costituzione, questo non dovrebbe essere fatto da una
maggioranza di Governo ma una maggioranza più ampia. Inoltre, sembra che la
legge, se approvata, non ammetta la possibilità di un referendum; ma almeno si
verifichi la Costituzionalità della legge. Pertanto, aderisco alla Proposta di Legge di riforma costituzionale che è stata presentata, che propone di modificare l’art. 116 della Costituzione in modo da
chiarire l’attribuzione delle competenze tra centro e periferie. Riprendo la proposta dello stesso Buonajuto: “In conferenza delle Regioni è stato
approvato all’unanimità un documento proposto dal presidente della Campania, Vincenzo
De Luca, una proposta di semplificazione e decentramento delle competenze; senza
intervenire sulla Costituzione si trasferisce la competenza in campo alla Regione di 7
materie (e non 23!) come: i pareri ambientali, gli impianti energetici, la trasformazione
urbanistica, la portualità, i piani paesaggistici, gli insediamenti produttivi e le Zes”. Tale
proposta mi sembra plausibile e soprattutto fedele al dettato costituzionale.
In conclusione, mi permetto di rivolgere un appello ai politici, soprattutto
meridionali, che si ispirano alla Dottrina sociale della Chiesa: al di là degli
schieramenti a cui appartengono, sostengano un cattolicesimo “solidaristico”, che
non si concilia con la proposta di legge in questione.
Mons. Antonio Di Donna – Vescovo di Acerra e Presidente della Conferenza Episcopale Campana