“Il nostro tempo storico ci mostra qualcosa di paradossale: nel massimo della connessione informatica l’uomo sta vivendo il massimo della sconnessione civile. Il compito della politica, al di là delle esigenze amministrative, dovrebbe essere quello di ricreare una tensione verso l’unità, la connessione appunto”.
Questa straordinaria frase del filosofo Aldo Masullo ci trasferisce la complessità dell’agire politicamente laddove si rifletta sul fatto che nella società digitale la divisione comincia ad essere tra chi conta e chi è contato, tra chi ha la proprietà, il comando ed il controllo della produzione dei dati, che è diventata una delle più grandi e potenti fonti di ricchezza, e chi passivamente è in contatto.
E questi nuovi centri di potere oggi sono invisibili nel loro operare, hanno determinato un mutamento del modo di essere collettività, di essere popolo, di stare insieme: “non più corpi pensanti ma informazioni. Siamo diventati ombre” e come tali meri consumatori, tanto più consumatori quanto consumati dai mezzi di analisi che frugano nella nostra intimità.
E tale mutamento a livello globale del potere ha comportato una crisi dei corpi intermedi, dei partiti politici, soprattutto di quelli di sinistra, luoghi di lotta politica e anche di pensiero: di quelli che hanno governato nell’era della trasformazione e di quelli di alternativa. Una volta la politica era una attività di massa: si facevano i comizi, si andava davanti alle fabbriche, nelle campagne, nelle sezioni a discutere, a parlare, a convincere, fino a notte fonda, si stampavano i volantini, si facevano assemblee nelle scuole, e la domenica si vendeva l’Unità, un milione e mezzo di copie.
Si chiamava democrazia politica, un impasto di democrazia diretta e di democrazia delegata, e i dirigenti prendevano stipendi modesti, anche i deputati lasciavano gran parte dello stipendio al partito. La politica era strategia, pensiero, tattica. Anche il raggiungimento del governo delle città e delle nazioni non era l’essenziale dell’impegno politico: il potere era una variabile della politica, si amava la politica non la sua variabile.
Si era militanti perché le idee nelle quali si credeva potevano rendere il mondo più giusto, migliorare le condizioni di vita nella tua città, a partire da quella dei più deboli e sfruttati. Non si era militanti perché si doveva raggiungere il potere. Mi pare che la politica sia oggi ridotta a chiacchiera, a gossip.
E’ enorme la sproporzione tra la gravità delle questioni che la fase storica che stiamo vivendo ci consegna e la mediocrità della politica quotidiana nella quale siamo immersi. Basta girare per le strade anche della nostra città e guardare piazze deserte, negozi chiusi, capannoni vuoti, fabbriche chiuse, crisi industriali, terreni incolti. E dietro tutto ciò ci sono i volti, le storie di uomini e donne in carne ed ossa cui la crisi e le politiche di questi anni hanno tolto lavoro, serenità e dignità. E anche salute. Sì anche il diritto alla salute perché quel “potere della produzione dei dati”, con la complicità di una politica miope e connivente, ha deciso che questo deve essere il territorio del più grande inceneritore d’Europa senza alcuna garanzia per la tutela della salute dei suoi abitanti e la salvaguardia dell’ambiente.
A dieci anni dalla sua messa in funzione, senza alcuna seria attività di bonifica del territorio, si vuole costruire una quarta linea, un quarto forno. A quei volti, a quelle storie in carne ed ossa, serve una sinistra che ascolti e che dia una speranza in un futuro migliore. Credo ce ne sia proprio bisogno, e credo di non essere il solo a ravvisarne la necessità, per contrastare le effimere politiche sovraniste e populiste che alla crisi rispondono erigendo muri e seminando odio.
Si può fare partendo da subito e dai territori: provare a costruire un luogo in cui “riconnettersi” concretamente, ritrovarsi e discutere, mettere insieme conoscenze e competenze da tradurre in azione politica: dar vita ad un’assise capace di rilanciare la sinistra cittadina, quella in carne ed ossa, non soloun luogo di incontro di forze politiche la cui esistenza in città purtroppo ormai stenta persino a percepirsi. E per farlo credo sia necessario ripartire dal piacere di riconoscersi e di stare insiemefacendo prevalere il confronto e la forza delle idee, la passione politica.
Provarci oggi, a tre anni dalle prossime elezioni amministrative, mi auguro che sia più facile di quanto si è provato a fare in passato. Provarci oggi è fondamentale per contribuire a preparare un pezzo del futuro nostro e delle generazioni che verranno. Provarci oggi perché Di Vittorio ci ha insegnato a non togliersi il cappello davanti ai padroni: né quelli di ieri né quelli di oggi.
Tommaso Esposito