Venerdì sera a Napoli si è tenuto un grande concerto di Gigi D’Alessio. Tre milioni e mezzo di telespettatori e più di 15.000 fans che, seduti comodamente in piazza, sembravano essere parte integrante di una meravigliosa scenografia preparata apposta per l’evento. Nel Largo di Palazzo, detto anche piazza del plebiscito che plebiscito non fu, c’era un enorme palco allestito di fronte a quel Palazzo Reale, sede simbolica delle più importanti dominazioni del passato, che sembrava voler ricordare a tutti la nostra storia recente. La struttura temporanea pareva inchinarsi alla residenza reale quasi come per chiedere il permesso di restare lì, a casa propria, per suonare e festeggiare.
Lo stesso palco era anche stretto alle spalle dall’abbraccio, rassicurante quanto soffocante, dei due forti bracci del colonnato della Chiesa, quella di San Francesco di Paola, che invece sembrava stare lì per vagliare ogni frase pronunciata durante lo spettacolo, pronto a stritolarlo con la sua marmorea tenaglia non appena qualcosa avesse oltrepassato i suoi secolari limiti imposti.
Per finire, tutto lo spazio a disposizione era chiuso ermeticamente ai due lati dalle due principali strutture governative di questo tempo, palazzo Salerno – sede del comando militare forze operative del sud – e palazzo della Prefettura, col suo vistoso tricolore illuminato, che sembrava voler ricordare a tutti i colori dello straniero di turno in questa terra, quello che con il suo sistema politico ed economico tiene attualmente in scacco le menti pensati di sangue napoletano. Come sono particolari certe piazze, luoghi di convivialità unici, dove la forma dello spazio ci dà anche la misura del tempo.
Napoli non è una città come tutte le altre, la sua atavica anarchia dalle forti connotazioni storiche, culturali e linguistiche non consente di relegarla all’interno di classici schemi preconcetti. È un macrocosmo all’interno di un microcosmo. Napoli non è una città ma un regno, e la napoletanità non è la rappresentazione folcloristica di uno dei tanti campanili presenti nella penisola, ma un’intera civiltà con tutte le sue variegate essenze, che resterebbe tale ovunque fosse geograficamente collocata e sotto qualunque dominazione o forma di governo.
In questo contesto, in poco più di due ore di concerto sono venute fuori tante sfaccettature di questa civiltà, perle del mondo dello spettacolo e della cultura che hanno fatto grande questa città. Così i vari Totò, Carosone, De Filippo, Merola, Maradona, Daniele sono tornati in vita grazie a chi ancora oggi in loro nome calca i palchi di tutto il mondo, per ricordarci che non sono mai morti, ma continuano a vivere dentro di noi perché costituiscono i tratti più belli dell’essenza di chi è napoletano.
È stata la celebrazione della Napoli passata, presente e futura. Più volte gli addetti ai lavori hanno avvertito la necessità di tradurre in italiano dei concetti e delle battute perché ne godessero anche tutti coloro che non erano di lingua napoletana. Emozioni difficili da descrivere a parole perché le note che di diffondevano in quella piazza non erano onde sonore, ma echi di napoletanità che risuonavano dentro ciascuno di noi e si potevano ascoltare solo con l’anima e comprendere col cuore.
Ma in questi stessi giorni, proprio all’interno del Palazzo Reale c’è stata anche la conferenza dei ministri della cultura del Mediterraneo, che ha accolto oltre 40 delegazioni composte da più di 100 rappresentanti del nostro bacino. Un vertice importantissimo, da cui ci si aspettava tanto perché aveva l’obiettivo di coordinare la diplomazia culturale al fine di salvaguardare i precari equilibri globali. Tutto ciò nella consapevolezza che solo la cultura può regalare la pace fermando le guerre, tutelare l’ambiente e combattere ogni diseguaglianza e discriminazione. Non a caso ad ospitare l’evento è stata scelta Napoli e questa stessa piazza, riconoscendola di fatto capitale culturale dell’intero Mediterraneo.
Eppure il concerto, che per quanto gratificante pur sempre un’esibizione artistica rimane, è stato capace di offuscare l’importanza di questo fondamentale meeting. Nei giorni scorsi giornalisti di ogni testata si sono accalcati per accreditarsi alla conferenza stampa di Gigi D’Alessio, scrivendo fiumi di parole. Ma, tranne pochissime eccezioni, nessuno ha speso una sola parola per l’evento culturale sulle varie testate giornalistiche locali, le più vicine alle comunità locali e quindi capaci più delle altre di sensibilizzare e muovere le masse con una corretta e mirata informazione.
Alla fine del concerto si sono spenti i potenti fari sul palco e il Largo di Palazzo è tornato ad essere illuminato dai soliti lampioni e dalle fioche luci della reggia. Mentre ancora risuonavano in me le ultime note di “Napule è” di Pino Daniele, ho sentito che per eludere la stretta asfissiante che ognuno dei quattro lati della piazza esercita a suo modo su noi napoletani, c’era un’unica via libera da percorrere: quella che va verso l’alto. Con questa consapevolezza quei tristissimi versi dal sapore agrodolce hanno preso per mano i mie pensieri e li hanno fatto volare oltre le barricate, portandoli lontano, verso il mare.
Se solo noi napoletani avessimo la capacità di tramutare in cervello e razionalità una piccola parte del nostro grande cuore, se solo una parte della nostra capacità di aggregazione e generosità potesse trasformarsi in senso civico, proiettando quel grande senso del presente e del passato che tanto ci caratterizza anche un po’ verso il futuro, se solo utilizzassimo un briciolo della nostra intelligenza per rispettare le regole e non per eluderle, nessun tipo di stretta sarebbe più in grado di opprimerci e, molto probabilmente, oggi al posto di quel tricolore illuminato sul palazzo della prefettura e sui palazzi delle prefetture di tutt’Italia e forse dell’intero Mediterraneo, sventolerebbe una bandiera azzurra con al centro l’effige della Sirena Partenope.
di Alberto Di Buono