Sono 5 i quesiti su cui il 12 giugno verranno chiamati a esprimersi gli elettori per il referendum sulla giustizia. La deputata del Movimento 5 Stelle Angela Salafia spiega perché votare No.
Il 12 giugno si vota per il referendum sulla giustizia.
Si tratta, in realtà, di cinque quesiti su temi in alcuni casi anche molto tecnici. Nonostante la data referendaria si avvicini, si parla ancora molto poco di questo voto e non tutti i principali partiti hanno espresso una posizione chiara e netta sul tema.
Tra chi è sicuro di votare No a tutti i quesiti c’è il Movimento 5 Stelle: a spiegare la posizione pentastellata, è la deputata in commissione Giustizia Angela Salafia. Che sottolinea come questo referendum “finirebbe per danneggiare profondamente il sistema giustizia”.
L’invito del M5s è a votare No a tutti i quesiti, con particolare attenzione verso quello sulle misure cautelari, ritenuto “potenzialmente il più dannoso”.
Salafia ribadisce anche il no all’eliminazione della legge Severino e spiega i motivi della contrarietà a ogni singolo quesito.
Perché vi opponete ai referendum sulla giustizia e quale sarà la vostra indicazione agli elettori: votare no o astenersi?
La nostra posizione sui quesiti referendari proposti dalla Lega e dai Radicali è chiara: si tratta di interventi che, se realizzati, finirebbero per danneggiare profondamente il sistema giustizia, incidendo negativamente anche su questioni legate alla legalità, alla trasparenza e alla sicurezza dei cittadini. Senza dubbio, siamo contrari a ciascuno dei 5 quesiti e quindi, nel merito, invitiamo a votare cinque volte No. Tra l’altro, la riforma del Csm, già approvata alla Camera e attualmente in discussione al Senato, potrebbe superare positivamente gran parte delle novità che si vorrebbero introdurre con il referendum.
Primo quesito: l’incandidabilità in caso di condanna è un caposaldo del M5s, ma non pensate che questa norma vada rivista eliminando per esempio alcuni dei reati previsti?
La legge Severino, che di fatto preclude la partecipazione alle competizioni elettorale di candidati condannati in via definitiva per gravi reati, è un baluardo insostituibile a garanzia della legalità e della trasparenza in politica. Eliminarla, così come proposto dal relativo quesito referendario, significherebbe tornare a un meccanismo inadeguato a preservare l’integrità del sistema democratico. Si può discutere dell’impatto della legge attuale sugli amministratori locali sospesi dopo una condanna in primo grado, ma occorre farlo con una riflessione molto attenta, passando per un dibattito serio e approfondito. Di certo non è abrogando l’intera legge Severino che si va incontro alle esigenze del Paese. Non si farebbe un favore ai cittadini, alle amministrazioni locali e nemmeno ai sindaci. Su questo come sugli altri quesiti siamo nettamente per il No.
Secondo quesito: perché ritenete che non si debbano limitare i casi in cui vengono disposte le misure cautelari?
Il tema delle misure cautelari è intimamente collegato a quello della sicurezza, un punto su cui non possiamo permetterci passi falsi, nell’interesse concreto dei cittadini. Anche in questo caso, siamo fermamente per il No. L’idea proposta con il referendum di ridurre la possibilità per i giudici di applicare misure cautelari a coloro che sono accusati di alcuni tipi di reati considerati meno gravi merita di essere respinta con forza. Solo per fare un esempio, se il secondo quesito venisse approvato, un soggetto accusato di stalking che non abbia usato violenza o armi, in assenza di pericolo di fuga o di inquinamento probatorio, non verrebbe sottoposto ad alcuna misura cautelare. In questo caso, come vorrebbe la legge che si tenta di introdurre con la consultazione, i magistrati non potrebbero prendere in considerazione l’eventualità della reiterazione del reato per giustificare l’esigenza di una misura cautelare. Si aprirebbero scenari inquietanti, in cui sarebbe ancora più difficile garantire la sicurezza sociale. Credo che questo sia il quesito potenzialmente più dannoso e contrario agli interessi dei cittadini tra tutti quelli di cui si discute. Sicuramente siamo per Il No ed è bene ribadirlo e far capire agli italiani l’importanza cruciale di questa scelta.
Terzo quesito: quali conseguenze negative ritenete che possa avere la separazione delle carriere? E crede che nel M5s ci sia una posizione compatta sul tema?
La rigida separazione delle carriere dei magistrati requirenti e di quelli giudicanti, rischierebbe di creare seri danni al nostro sistema giudiziario, con ricadute che andrebbero ben al di là delle dinamiche interne alla magistratura. Siamo per il No al terzo quesito, perché l’attuale comunanza di percorso iniziale tra pubblici ministeri e giudici contribuisce a scongiurare il rischio che si venga a creare una sorta di sistema accusatorio puro, in cui il pm si trasforma in una specie di ‘avvocato di polizia’. Dire No a questa possibile deriva significa mettere un paletto di fronte a chi vuole attenuare il principio d’indipendenza della magistratura. I magistrati non devono essere posti di fronte a una scelta di base per la loro carriera.
Quarto quesito: a vostro giudizio l’inserimento di membri laici nella valutazione dei magistrati non potrebbe essere utile? E perché?
Il quarto quesito, se approvato, potrebbe aprire a possibili conflitti d’interesse, perché gli avvocati chiamati a valutare i magistrati, se pure in buona fede, si troverebbero nella posizione di poter fare pressioni sui togati. È un rischio che non può abbattersi sul consiglio giudiziario e deve essere evitato. Di qui la nostra contrarietà. Tra l’alto il progetto di riforma proposto dalla ministra Cartabia prevede il coinvolgimento degli avvocati e docenti nei Consigli giudiziari, senza tuttavia riconoscere un voto ai singoli avvocati e docenti, ma un voto unitario degli avvocati solo in caso di segnalazione da parte del Consiglio dell’Ordine degli avvocati. In questo modo la questione, così come posta con il referendum, verrebbe superata.
Quinto quesito: non pensa che l’eliminazione della raccolta firma per le candidature al Csm possa ridurre il peso delle correnti nella magistratura?
L’eliminazione della raccolta firme per la candidatura al Consiglio superiore della magistratura non risolve nemmeno lontanamente il problema della deriva delle correnti e da sola non può produrre effetti concreti sul sistema elettorale. È una proposta che, se trovasse applicazione, risulterebbe forse non dannosa ma assolutamente inefficace. Il tema del sistema elettorale per il Csm deve essere affrontato in maniera organica all’interno di un più ampio intervento sul complesso dell’ordinamento giudiziario, come è stato fatto all’interno della riforma Cartabia e occorre continuare a lavorare affinché venga approvata definitivamente. Il quinto quesito è sostanzialmente inutile, quindi diciamo No.