A pochi passi dal cancello centrale della basilica vaticana spalancato davanti a una piazza San Pietro deserta, papa Francesco è in piedi in silenzio, dietro di sé l’immagine della Salus Populi Romani e il Crocefisso di San Marcello, rispettivamente l’icona bizantina di Maria conservata in Santa Maria Maggiore e il crocefisso oggetto della venerazione dei romani che nel 1500 una tradizione narra salvò la città dalla peste.
Cupe nuvole coprono il cielo di Roma e scaricano pioggia. Prima della benedizione Urbi et Orbi, con la possibilità data a tutti di ricevere l’indulgenza plenaria, il Papa tiene una sua omelia dedicata alle difficoltà del momento presente.
“Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti”, dice il Papa. E ancora, “tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda”. Tutti come i discepoli ripetiamo che “siamo perduti”. Anche noi “ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”.
Una giornata che ha plasticamente mostrato la forza di questo papato. La presenza di Dio nel vuoto dell’anima, nelle sue braccia protese verso un mondo che sta soffrendo. Nell’immagine di quell’uomo vestito di bianco che con fatica raggiunge l’altare, ho visto la sofferenza di un mondo barcollante che ha bisogno di riti antichi per trovare certezze, ma che ha anche più bisogno di riscoprire la sua dimensione umana. Cosa che questo maledetto virus ci sta permettendo di fare.
Michele Paolella